“Miscelare è un arte, diamo valore ai nostri ingredienti” Nicola Baresi

Nicola Baresi

Nasce a Brescia nel Giugno del 1994. All’età di 11/12 anni chiese a sua mamma se esistesse una scuola per diventare baristi. Diplomato nel 2012 all’istituto alberghiero, iniziò subito a lavorare come cameriere, poi gavetta in diversi posti fino ad arrivare a lavorare nella birreria di suo papà. Nel 2014 si iscrive finalmente al primo corso barman e intraprende la strada che aveva sognato da sempre. Nel 2015 l’incontro con lo storico locale de “La Casa del Rum”. Dai primi giorni di stage fino a diventare ben presto il barman di riferimento. Tra una stagione e l’altra cambia diversi posti di lavoro e diverse località, un inverno a Torino, una piccola parentesi in Francia e un po’ ritorna anche a casa. Oggi lavora in cocktail bar nel centro di Follonica e continua a collaborare con La Casa del Rum come potete ben vedere.

Il Brandy

Dopo la grappa vorrei parlarvi un po’ di un altro distillato che secondo me merita di essere rivalutato, il Brandy.
Anche se le sue origini non sono del tutto italiane,al giorno d’oggi possiamo vantarci di avere alcuni tra i migliori brandy.
Facciamo un passo indietro.

Il termine brandy deriva dall’olandese branvjn e significa “vino bruciato”.
Con il termine brandy si definisce tutti i distillati di vino ottenuti al di fuori delle aree di Cognac e Armagnac.
Non si hanno precisi riferimenti sulla nascita del brandy ma, sappiamo che con la conquista della Spagna da parte degli arabi nel 711 arriva anche l’arte della distillazione.
Non si hanno notizie di distillati di vino fino all’arrivo degli inglesi, anche se è difficile pensare che la vocazione enologica di questo paese non abbia portato alla produzione di un acquavite in epoca precedente.

Il brandy nasce in Spagna ufficialmente nel XVIII secolo, quando giunsero i commercianti inglesi e irlandesi, attirati dalla possibilità di vendere del vino dolce.
Furono appunto gli inglesi i primi a distillare l’acquavite usata per bloccare la fermentazione del vino usato per la produzione del famoso vino liquoroso di Jerez,la cui fortificazione era necessaria per rendere possibile il trasporto via nave.

Solo successivamente, verso la metà del 1700, si inizierà a vendere il brandy in bottiglia grazie alla qualità del prodotto raggiunto.

Il brandy in Italia arriva verso la fine del 1700 sempre per opera di un’inglese.
Nel 1773 arriva a Marsala John Woodhouse, produttore di distillato di vino, che dopo aver assaggiato l’ottimo vino locale decise di fortificarlo con il suo prodotto per cercare di emulare quei sapori e quei profumi simili al Porto e al Madeira per soddisfare il mercato inglese assetato di vini dolci fortificati.
Nel 1806 si aggiunse un nuovo produttore di acquavite di vino usata per la fortificazione del vino, Benjamin Ingham che nel 1812 si fece raggiungere da suo nipote Joseph Wittaker. I due inglesi contribuirono ulteriormente alla nascita del brandy.

L’unico protagonista italiano in questa storia è Vincenzo Florio, imprenditore calabrese e appassionato di automobilismo,che dopo essersi trasferito in Sicilia decise di investire nell’acquavite siciliana utilizzata fino a quel momento come fortificante per i vini.
Così, nel 1832, Florio fonda la prima distilleria di acquavite di vino tutta italiana.
Con la fine della guerra commerciale tra Spagna e Inghilterra gli inglesi abbandonarono la Sicilia e quella che sembrava la fine di un’epoca d’oro si rilevò invece una grande opportunità per Florio che, disponendo di capitali importanti, acquistò le loro attività a prezzi praticamente in saldo.

Poco dopo, a Bologna, arrivò un francese di nome Jean Buoton (che cambiò poi il nome in Giovanni Buton) che intuì la potenzialità del mercato italiano per un distillato di vino di scuola francese.
La vicinanza con la Romagna era strategica. Rappresentava il bacino ideale per reperire le materie prime per la distillazione, così Buton apri la prima distilleria di Brandy italiano.
Buton che era un’abile distillatore creò così il primo vero brandy italiano che tutti oggi ancora conosciamo, La Vecchia Romagna.
Altri importanti produttori dell’ epoca furono Villa Zarri e Branca, che contribuirono alla popolarità di questo distillato.

Nel periodo del ventennio fascista era proibito l’utilizzo di nomi stranieri quindi, il brandy, dovette cambiare momentaneamente nome in Arzente.
Il nome fu coniato da D’Annunzio e possiamo ancora ritrovarlo in alcune etichette d’epoca o di qualche produttore nostalgico.

Grazie alla nostra tradizione enologica e ai numerosi vini adatti alla distillazione possiamo trovare diversi tipi di brandy sul mercato, da quelli più giovani a quelli più invecchiati e tutti con caratteristiche organolettiche diverse che, oltre alla degustazione liscia del distillato si prestano bene nel mondo della miscelazione.

Brandy Crusta e Horse’s Neck

Il Brandy Crusta nasce verso la fine dell’ ‘800 a New Orleans per mano del bartender italiano Santini emigrato a New Orleans. Grazie alla sua conoscenza verso il distillato crea così questo drink che,a detta di molti, è uno dei drink più stilosi della storia della miscelazione.
A renderlo famoso però, fu poi Jerry Thomas che trascrisse la ricetta nel suo libro.

Iba 2020
52,5ml Brandy
15ml Succo di limone
7,5ml Maraschino
1bs Zucchero liquido
1bs curacao
2 dash Angostura
Crusta di zucchero

L’ Horse’s Neck è invece meno conosciuto e più sottovalutato del primo, forse per la sua semplicità nell’ esecuzione o forse per pura sfortuna.
Come il nome suggerisce (Criniera di cavallo) il drink nasce in un ippodromo inglese intorno agli anni ’50. Grazie alla scoperta di ginger beer e ginger ale. Il drink trova ben presto fama e gloria grazie alla recente importazione del brandy e alla scoperta di queste nuove bibite, ma col tempo viene dimenticato e messo in secondo piano.
A mio parere è un drink, che se fatto con il giusto brandy, può soddisfare molti palati.

Iba 1986
40 ml Brandy
1 dash Angostura
Top Ginger Ale

Mi fa piacere lasciarvi anche una mia ricetta a base di brandy in una chiave più moderna, quasi fosse una versione italiana di un tiki dove il protagonista però è il nostro distillato italiano:

Trandy
50 ml Brandy
30ml Succo di lime
20ml Falernum
10ml Orzata
10ml Zucchero liquido
Top Angostura

Per la preparazione versare tutti gli ingredienti in uno shaker eccetto l’angostura. Shakerare e versare su ghiaccio a cubo nuovo. Riempire il bicchiere con un top di ghiaccio tritato e versare sopra 4/5 drop d’angostura.
Decorate con foglie di menta e ciliegia al maraschino.

Nicola Baresi

Il ritorno della Grappa con il Ve.N.To

La Grappa

Prima di parlare dell’inserimento del Ve.N.To nell’ultima carta Iba, vorrei introdurre questo nobile distillato.
Negli anni, la grappa, è sempre stata sottovalutata e bistrattata per via delle sue caratteristiche organolettiche ma, finalmente nel 2020, ha trovato posto anche lei in miscelazione trai grandi nomi della storia con il drink che poi vedremo.

La grappa è un distillato di vinaccia, la parte solida e residuo della torchiatura dell’uva da vino, la cui paternità esclusiva spetta all’Italia.
Il termine “grappa” compare ufficialmente solo alla fine dell’ ‘800 e contestualmente vengono codificate le procedure e le materie prime da utilizzare nella sua produzione.
Dal Piemonte proviene un’importante testimonianza sulla nascita della distillazione in Italia, un documento del 1443 attesta il pagamento di una tassa su un’acquavite di origine enologica, definita come “Branda di Barbera e Moscato” (Branda era il nome in cui in Piemonte veniva chiamata la grappa), non sappiamo però con precisione quale fosse la materia prima, se del vinello o della vinaccia. Nel caso fosse la seconda opzione porterebbe il nostro amato prodotto in testa alla cronologia dei distillati.

Le origini di questo distillato sono molto umili.
Anticamente, il nobile proprietario delle vigne, concedeva ai suoi braccianti lo scarto della produzione del vino come parte del pagamento per il lavoro svolto.

Le caratteristiche organolettiche del distillato sono spiegate proprio nella materia prima, spesso pressata all’eccesso e che veniva poi lavata con acqua calda dai contadini per ottenere il “vinello” (vino da pasto leggero).
L’acqua di lavaggio delle vinacce bianche conteneva una piccola quantità di zucchero in grado di fermentare per ottenere il vinello o per essere distillata, le vinacce rosse, invece, producevano abbastanza alcool da essere immediatamente pronte per la distillazione.

All’inizio la grappa era un distillato prodotto nel nord Italia. Con il finire della Prima Guerra Mondiale, molti soldati che erano stati impegnati a combattere al fronte nelle zone del Piave conobbero questo distillato e lo portarono nelle loro regioni d’origine.
Avendone appreso il metodo produttivo iniziarono a distillare i vitigni tipici della loro zona creando così i presupposti per una vera distribuzione nazionale.

I motivi delle alternate fortune della grappa e della disaffezione del consumatore verso di essa vanno ricercati nella non eccelsa qualità dei prodotti proposti all’epoca.
Le prime distillerie stoccavano le vinacce in silos di cemento dove l’alto tasso di umidità faceva nascere in breve tempo muffe e batteri acetici che in fase di distillazione spesso conferivano al prodotto finito un sentore molto poco gradevole.
Oggi , con il passare degli anni, si utilizzano metodi di stoccaggio controllati che non creano più questo tipo di batteri.

A mio avviso al giorno d’oggi in commercio si trovano molte grappe ottime, dai monovitigni ai blend di uve, ogni grappa è a se e, parlando da barman, trovo molto soddisfacente usarle in miscelazione perché cambiando grappa sconvolgiamo il drink e a mio avviso è molto divertente provare nuovi abbinamenti.
In un mercato saturo di drink con prodotti provenienti da tutto il mondo, io credo che l’utilizzo dei prodotti del nostro territorio sia un buon modo per creare qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso.

Ve.N.To

Al di la di ciò che si possa pensare questo drink non ha una gran storia poiché è stato creato nel 2019.
Il drink ha una paternità tutta italiana e nasce a Treviso con l’intento di valorizzare la grappa in miscelazione. Il presidente Iba Italia e International dichiara: “Un drink con la grappa beverino, innovativo e piacevole che è stata approvato a pieni voti con entusiasmo da tutti i membri Iba”.
Il nome Ve.N.To vuole essere evocativo delle regioni della grappa (Veneto-Friuli Venezia Giulia-Trentino.

Iba 2020
45ml Grappa Bianca-Lunatica-
25ml Succo di limone
15ml Honey mix o infuso alla camomilla
15ml Cordial alla camomilla
10ml Albume

Di seguito vi lascio anche due ricette a base di grappa di mia invenzione che mi fa piacere condividere con voi:

(cliccando sull’ingrediente vi aprirà la scheda del prodotto utilizzato)

Italian Boulevardier
20ml Selvatica
30ml Vermouth Bianco
15ml Bitter Rosso
5ml Amaro Pepticus
Servito build in un tumbler basso

Grappa-Side
40ml Poetica
20ml Spremuta di pompelmo rosa
10ml Cointreau
10ml Miele/Sciroppo d’agave
Shakerato e servito in coppa

Nicola Baresi

“Bar”

“Bar” è la parola che accomuna la maggior parte di noi che lavoriamo in un locale, che sia un cocktail-bar, un wine-bar, un bar & restaurant o anche un bar da colazioni. Non importa che tipo di bar sia ma questa parola è sempre presente e vediamo il perché.

Partiamo con la definizione che possiamo trovare su un vocabolario:
bar1 s. m. [dall’ingl. bar, propr. «sbarra, balaustra» che divide i consumatori dal banco di mescita; poi il banco stesso e quindi il locale]. – 1. Esercizio pubblico in cui si sosta brevemente per consumare bevande, dolci e cibi leggeri stando in piedi, o seduti su alti sgabelli, presso il bancone di mescita che separa gli avventori dal personale di servizio; può anche far parte di alberghi, teatri e uffici.
Ovviamente il vocabolario non sbaglia e la parola “Bar” deriva proprio dall’inglese ed è una semplice contrazione della parola “Barrier” ovvero barriera che diventa poi sbarra una volta contratta. Quindi, ahimè, non ha origine italiana. E ora lo scopriamo.

Questa parola affonda le sue radici nell’epoca della prima colonizzazione delle Americhe quando veniva utilizzata per indicare l’angolo riservato alla vendita di bevande alcoliche nelle osterie e nelle bettole. La “sbarra” serviva, in particolare, a dividere quest’area di perdizione dal resto del locale.
Diventa poi presto usata nel linguaggio comune la frase “let’s go to the bar” a indicare di avvicinarsi alla sbarra per ordinare da bere e da questo utilizzo comune di chiamare quell’ angolo “Bar” nasce la definizione che ad oggi conosciamo tutti.

Un'altra ipotesi ma che non ha radici così ferme e antiche come la precedente è che la parola Bar provenga da “Barred” ovvero “Sbarrato” per indicare quando nel XIX secolo i locali venivano letteralmente sbarrati a causa del proibizionismo. Ma come già detto in precedenza questa ipotesi non ha nulla di fondato.

In Italia vediamo la prima volta la parola Bar su un insegna nel 1898 usata da Alessandro Manaresi, imprenditore italiano dell’epoca che in quell’anno aprì a Firenze il primo Bar. In questo caso le tre lettere volevano significare “Banco a Ristoro” e da quello che si può intuire da vecchi articoli il locale era si dedito al servizio di bevande alcoliche e di drink ma soprattutto si dedicava a quello che era una cucina espressa e veloce.

Possiamo dire con la certezza quasi assoluta che l’ipotesi più probabile sia appunto la prima in quanto oltre a fonti storiche è riportata anche nel nostro vocabolario.

Nicola Baresi

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Il Mai-Tai

Ricetta Iba:
30ml Rum Jamaicano invecchiato
30ml Rum da melassa della Martinica
15ml Orange curacao
15ml Sciroppo di orzata
30ml Succo di lime fresco
7,5ml Sciroppo di zucchero (1:1)
Ricetta originale:
60ml 17-years old J. Wray Nephew Jamaican Rum
15ml Orange Curacao
15ml Sciroppo di orzata
30ml Succo di lime fresco
7,5ml Sciroppo di zucchero (1:1)

Il Mai-Tai, insieme allo Zombie, è il simbolo della miscelazione Tiki.
Partiamo col dire che esistono diverse versione del Mai-Tai ma oggi parleremo più che altro della ricetta di Trader Vic che è considerata quella standard.
Per chi non sapesse chi è Trader Vic vi dico solo che insieme a Donn Beach è considerato il padre della miscelazione Tiki ma su di loro faremo un articolo a parte.

Al contrario di ciò che possa sembrare il Mai-Tai nasce gli Stati Uniti nel 1944, più precisamente a Oakland in California nel locale di Vic.
Questo drink si ispira ai sapori e ai profumi di Thaiti tanto che il suo nome sta a significare “buono” in tahitiano (Maitai roa ae).

Il nostro drink inizia ad affondare di più le sue radici però solo 9 anni dopo quando nel 1953, a Trader Vic, venne commissionata una drink list dai toni tropicali per una nave da crociera, la “Lurline” che da San Francisco portava i suoi passeggeri in mete esotiche e calde.

I passeggeri della Lurline dopo il viaggio alloggiavano in grandi alberghi della stessa compagnia e proprio in questi alberghi l’impatto del turista cambierà le sorti del Mai-Tai e di tutta l’era tiki.
Grazie alla popolarità avuta nelle località turistiche, il Mai-Tai verrà richiesto sempre di più in tutti i bar degli USA diventato in poco tempo il drink esotico più richiesto, superando anche lo Zombie di Donn che all’epoca era il cocktail simbolo della miscelazione tiki.

La ricetta cambia e da un rum solo si passa a due rum differenti, ma perché accade questo?
Il cambio di ricetta da parte di Trader è stato obbligato dalla difficoltà a reperire una quantità così grossa di
J. Wray Nephew Jamaican Rum 17 anni.
Così per prima cosa passa al 15 anni della stessa distilleria ma riscontra comunque problemi con la reperibilità del prodotto.
A metà degli anni ’50 decide quindi di tagliare il 15 anni con la stessa quantità di Coruba o Red Heart, sempre Jamaicani.

Le forniture altalenanti e la qualità non costante dei rum costrinse Trader a trovare una soluzione alternativa fino ad arrivare alla seconda modifica della ricetta.
Negli anni ’60 cerca di replicare lo stesso sapore del primo rum con un blend di martinicani 15 e 8 anni.
Non dobbiamo pensare però a un martinicano dei giorni nostri in quanto la A.O.C è stata inserita solo nel 1996 ma a un rum di melassa che non invecchiava sull’isola ma direttamente in Francia.

Seconda Ricetta:
30ml Trader Vic’s Jamaican Rum (15/8 anni)
30ml Martinique Rum (St. James o Trader Vic’s)
30ml pre mix orange curacao, orzata, sciroppo di zucchero
succo di un lime fresco

Negli anni in tutto il mondo sono state sviluppate diverse ricette del Mai-Tai in base al gusto dei bartender e dei clienti.
Posso concludere dicendovi che secondo la mia esperienza il Mai-Tai non è un semplice drink ma un modo di bere rum e lasciandovi così la mia personale e umile reinterpretazione di questo meraviglioso cocktail.

Il mio Mai-Tai:
40ml La Casa del Rum N4 (Jamaica-Barbados-Rep. Domenicana)
20ml La Casa del Rum bianco (Barbados-Guyana)
15ml Dry Orange curacao
15ml Orzata
30ml Lime fresco
10ml Sciroppo di zucchero (1:1)

Nicola Baresi

Strainer

Julep Strainer

Partiamo con una piccola premessa nel caso qualcuno non sapesse cosa è uno strainer.
Lo strainer non è altro che il colino da barman che noi tutti mettiamo sullo shaker prima di versare il drink nel bicchiere e che serve a evitare la fuoriuscita del ghiaccio o di parti solide usate durante la shakerata.
Ora parliamo del nostro Julep Strainer, questo oggetto risale circa all’inizio del XIX secolo ed è l’evoluzione del classico mestolo bucherellato da cucina.
In primis fu usato per la separazione del ghiaccio tritato dall’acqua in fase di preparazione del drink.
Nel corso degli anni viene anche utilizzato come strainer vero e proprio per versare i drink dopo una shakerata (fino all’avvento dello strainer Hawthorne).
Purtroppo però non ha fin da subito una grande popolarità, che arriva però nel 1835 quando (in onore del Derby ippico in Kentucky la “Julep cup”) abbiamo la prima testimonianza del Mint Julep così come lo conosciamo ora, ma di questo parleremo un’altra volta.
Vi starete chiedendo quindi se il julep strainer prende il nome dal cocktail?
Ebbene si, perché questo oggetto utilizzato fino ad ora per separare il ghiaccio dal liquido prima di servire un cocktail viene, invece, utilizzato proprio sopra la tazza del nostro drink per evitare che le persone appoggiassero le labbra direttamente sul ghiaccio tritato in fase di degustazione, e quindi creare così una sensazione spiacevole. Il Julep strainer diventa così famoso e quindi utilizzato sempre più spesso su questo drink che diventa ogni giorno più popolare.
Verrà poi sostituito dall’invenzione delle cannucce a cavallo tra fino 1800 e inizio 1900.
Piccola parentesi
Anche la Julep cup prende il nome da questa competizione e la sua forma è ispirata appunto alla coppa del vincitore.

Hawthorne Strainer

Questo non è altro che lo strainer come lo conosciamo al giorno d’oggi.
Il suo avvento nel mondo della miscelazione risale circa alla seconda metà del XIX secolo quando proprio in quel periodo era all’apice la popolarità del Julep strainer.
La creazione di questo nuovo utensile prende spunto proprio dal suo antenato che era si utile per la miscelazione ma allo stesso tempo scomodo e lento da utilizzare.
Viene quindi applicata inizialmente una molla al suo interno così che lo strainer facesse presa sullo shaker e non scivolasse. In seguito venne appiattito vino ad arrivare a come è ora.
Il nome “Hawthorne”al di la di quanto si possa pensare, non viene dall’inventore ma ben si dal nome del locale che lo rese celebre “The Hawthorne” a Boston.
Infatti il nome con cui fu brevettato la prima volta fu lo stesso del suo antenato “Julep Strainer”.
Inutile dire che questo oggetto diventò subito famoso e prese piede ben presto in tutto il mondo grazie alla sua praticità.

Nicola Baresi